Vryburg, Sudafrica, 15 settembre 2024.
In un periodo non definito, tra i 320.000 e i 300.000 anni fa, nell’esatta zona i cui ci troviamo, si muoveva l’Homo Naledi, anello di giunzione fra noi Sapiens e i nostri cugini australopitechi.
Questa straordinaria scoperta scientifica – avvenuta nel 2013 – ha completamente rivoluzionato il nostro albero genealogico, aggiornando di conseguenza la Storia dell’essere umano e ciò che viene (dovrebbe essere?) insegnato nelle scuole ai cuccioli della nostra specie.
Il fatto curioso è che nella bulimia informativa del 21 secolo, dove le scimmie senza pelo ballano su Tik Tok, minacciano attacchi termonucleari definitivi e violentano il Pianeta facendo finta che le sue risorse siano infinite, una notizia del genere è passata completamente inosservata.
È a dir poco affascinante scoprire il motivo per cui questo proto-Sapiens dalle caratteristiche fisico-somatiche ibride fra uomo e scimmia sia stato inserito nella famiglia degli “Homo”: il rito, la cultura, il trattamento dei defunti.
Nella Dinaledi Chamber, caverna facente parte della Rising Star Cave sono stati infatti trovati 1.500 elementi fossili dei Naledi; le analisi paleo-antropologiche al carbonio 14 indicano che questo era un sito di sepoltura – a malapena raggiungibile attraverso un tunnel verticale claustrofobico – che per questa specie aveva una valenza spirituale profondissima.
Calate Emilia 5 e i suoi pannelli cattura-Sole in questo contesto e avrete un contrasto – l’ennesimo di questo viaggio – dal sapore ancestrale.
La notte, gelida e silenziosa, è calata sul campo base di Onda Solare, la macchina si riposa per la lunga corsa giornaliera e il team dorme. Non tutti, però, riposano corpi e menti sopra materassi pieni d’aria, stretti fra pareti Decathlon: una giovane ingegnera incespica insonne nel buio, fiaccata dalla stanchezza e dalla tensione della gara di auto solari.
È minuta, pallida e, stretta com’è nella sua giacca vento sembra sparire nell’oscurità.
Cammina in cerca di sonno e arriva fino al carro dove giace il nostro prototipo rosso che da giorni trotta sulle strade aride e gonfie di vita del Sudafrica.
Fra la terra rossa e le pietre appena raffreddate sorge un’ombra antica: ha braccia lunghe, pollici opponibili e un volto marcatamente scimmiesco.
– Cosa è questo? – domanda indicando Emilia con un dito inusualmente lungo.
Per qualche misterioso motivo la ragazza – di poco più alta di lui – è placida, per niente stupita dall’incontro, e comprende le parole del suo antenato che le si erge davanti, alieno e fiero, eretto sulle due zampe posteriori.
“È una macchina”, risponde.
– Cosa è macchina?
“Una cosa per viaggiare”.
Il Naledi si ferma, riflette appena un attimo e insiste:
– Cosa muove macchina? Bestie? Mani?
“Il Sole”.
L’arcata sopraccigliare si alza per lo stupore.
– Sole? – interroga ancora – per andare dove? –
I concetti di competizione solare, pannelli fotovoltaici, fibra di carbonio, inverter e regolamenti sembrano troppo complessi per la situazione; così chiosa semplicemente: “Verso un ideale”.
L’ominide, dimostrando un intelletto extra umano, la incalza:
– Cosa è “ideale”?
Lei alza le spalle e suggerisce, semplificando fino all’essenziale i concetti di sostenibilità ed emergenza climatica: “Aiutare la Terra a non morire”.
L’espressione del Naledi, triste e grave allo stesso tempo, accompagna un laconico:
– Terra vive da tanto tempo, non muore. Uomini muoiono.
È l’alba, Giulia si sveglia nella tenda. L’ombra antica dell’ominide è dissolta, l’ideale resta intatto.