Si può amare un oggetto inanimato?
È possibile provare dei sentimenti nei confronti di una cosa che non è in grado di pensare, parlare e interagire, reagendo così a stimoli affettivi esterni?
Il pensiero razionale comune suggerisce che no, non è immaginabile una relazione empatica di questo tipo: ciò che è privo di coscienza non può essere soggetto del nostro amore.
Tuttavia è lecito, persino comprensibile, provare attaccamento per degli oggetti in virtù della loro utilità, provenienza o per i ricordi e la nostalgia che possono risvegliare in noi.
Un oggetto non ride, non piange, non sanguina.
Un oggetto non si può amare.
Punto e basta.
Eppure, nonostante queste verità apparentemente insindacabili, in Onda Solare osserviamo la nostra flotta di Emilia e sorridiamo. Ricordiamo le incalcolabili ore di laminazione da cui sono nate, pensiamo alle migliaia di chilometri percorsi assieme in deserti bollenti o sulle vette di altopiani maestosi, ai componenti rotti e alle riparazioni notturne per continuare la corsa verso la linea d’arrivo.
Peschiamo nei ricordi del passato, da quel lontano 2005 che segna l’incontro tra Ruggero e Mauro e la conseguente fondazione di Onda Solare, e allora scorrono davanti a noi le giornate, le settimane e i mesi passati in officina per la costruzione di veicoli solari performanti; il cervello si lamenta ancora per le ore di sonno perdute mentre il cuore esulta per i trionfi, i traguardi tagliati, i progressi tecnologici e i nuovi amici incontrati lungo la strada.
I ricordi si trasformano in nuovi viaggi, ripercorriamo mentalmente le strade cilene dell’Atacama, sentiamo sulla pelle il caldo dell’outback australiano e visualizziamo i verdi muri d’alberi dell’Oregon.
Ancora una volta imprechiamo per le avarie improvvise, ci disperiamo per le giornate senza sole, quando il cielo è un tappeto di nuvole e pioggia, sperando che il pacco batteria ci sostenga fino al prossimo checkpoint.
“Vai, Emi, spingi ancora un altro po’, stai andando forte!”: le parliamo, la sproniamo, le affibbiamo nomignoli affettuosi. Perché Emilia 1,2,3 e 4 (e presto 5) sono sì il frutto di calcoli, proiezioni, studi, bozzetti scartati e di ore di lavoro fino al risultato ottimale, all’esatto confine tra perfezionismo e ossessione.
Ma Emilia – quale che sia il numero che segue il nome – non è semplicemente la somma di un telaio, ruote e componenti elettrici: è una compagna di viaggio, frontrunner indomabile, vettura green che viaggia col Sole e ci conduce verso il domani. Emilia non è solo un oggetto inanimato: è l’idea di un collettivo tradotta in carbonio.
È la figlia prediletta di una squadra di persone che fatica, sogna e lavora all’unisono.
E allora, a ben vedere, un oggetto si può amare.
Punto e basta.
Sudore lacrime e sangue sono stati versati copiosi in due decenni indimenticabili ☀️☀️☀️si ama certamente ciò che rappresenta ☀️😏